E’ riuscito a scoprire, grazie a un algoritmo appositamente sviluppato, il nascondiglio dove stava “rintanato” quel 10% di Dna che ancora non era stato codificato nelle mappe del genoma umano. Lui è Giulio Genovese, ricercatore allo Stanley Center for Psychiatric Research del Broad Institute (affiliato al Mit e Harvard) che dopo aver scandagliato grazie al suo modello matematico 20 milioni di coppie di basi del codice della vita è riuscito a riempire le tessere mancanti del puzzle. Un risultato sorprendente del quale siamo tutti orgogliosi poichè Giulio è stato un ex studente del Savoia, come ricorda in questa intervista che ci ha rilasciato:
D: Giulio, partiamo da ciò che ci accomuna: hai un’immagine ancora vivida del Savoia? Cosa ti ha lasciato a livello umano e culturale?
R: Per me l’esperienza al Savoia ha coinciso con gli ultimi anni in cui ho vissuto ad Ancona. Ho sempre avuto un po’ la sensazione che gli insegnanti credessero in me, anche se poi non ero uno studente modello ma ero uno studente molto atipico. A livello umano mi ha lasciato un ricordo di un’adolescenza molto tranquilla. Tutti gli insegnanti che ho incontrato sono state persone che credevano nel loro ruolo e che insegnavano con passione. Ho un po’ il rammarico che ai tempi non fosse offerto un vero e proprio corso di informatica ma sono estremamente grato a chi ha permesso agli studenti del Savoia di partecipare alle olimpiadi della matematica, un’esperienza con cadenza annuale che ha fortemente condizionato la mia scelta formativa dopo il liceo.
D: Cosa ti ha spinto ad abbandonare l’Italia per poi inserirti nell’ambito della ricerca universitaria americana? È stata una tua scelta?
R: E’ stata una mia scelta ma non estremamente determinata. Durante il mio ultimo anno di università ero fortemente convinto di voler fare un’esperienza all’estero, ma ai tempi non mi importava molto dove. Il dottorato in America era una possibilità e dopo aver fatto varie domande una di queste si materializzò come un’opportunità da prendere o lasciare prima ancora di poter valutare altre scelte. Tutt’ora sono felicissimo di averla colta.
D: C’è qualcosa che trovi di più stimolante nel contesto culturale estero rispetto a quello italiano?
R: Il contesto culturale non è poi cosi’ diverso. L’ambiente universitario del dottorato è stato estremamente stimolante sotto molti punti di vista, ho acquisito nuovi hobby, imparato a ballare la salsa ed il tango e ho stretto amicizie con tanti ragazzi provenienti sia da discipline scientifiche che da discipline umanistiche. Quando mi sono trasferito a Boston, una città molto Europea rispetto ad altre metropoli americane, ho potuto continuare a coltivare molti di questi interessi fuori dal lavoro. Sicuramente percepisco una maggiore apertura verso le novità nei luoghi dove ho vissuto. Le ragioni sono tante e non sono semplici.
D: Che peso ha avuto la tua preparazione universitaria italiana, nel momento in cui ti sei confrontato con i tuoi colleghi stranieri?
R: La formazione universitaria che ho avuto è stata ottima, sia grazie agli ottimi professori che ho avuto a Pisa sia grazie agli studenti con cui ho studiato. La laurea (mi riferisco alla specialistica, io ho seguito il vecchio ordinamento) italiana e’ comparabile ad un master negli Stati Uniti. Il modello universitario americano e’ molto diverso da quello europeo, meno specialistico ma anche più aperto a collegamenti interdisciplinari. Quando ho iniziato il dottorato non pensavo proprio che sarei potuto diventare un biologo computazionale.
D: Come sei giunto, da matematico, a convogliare i tuoi interessi nel campo della genetica?
Con molta Serendipità!
Ho lentamente virato verso applicazioni sempre più pratiche, e alla fine sono giunto su un progetto di modellizzazione legato alla genetica e al processo di ricombinazione meiotica. Ognuno ha le sue preferenze, a me è sempre piaciuta l’idea di estrarre significato da grandi moli di dati che possono soltanto essere gestite da un calcolatore. La genetica in questo è esemplare e la forma mentis acquisita con un background in matematica è uno strumento indispensabile per metterci le mani e costruire i modelli più appropriati.
D: Ai Savoiardi che ancora devono affrontare la scelta universitaria e soprattutto il mondo del lavoro, che consigli dai?
R: Ai Savoiardi, ma più in generale agli adolescenti anconetani, suggerisco di aprirsi, allargare gli orizzonti e considerare tante opzioni fuori sede. Ancona è una bella città ma il mondo d’oggi è cosi’ interconnesso e complesso che non credo si riesca ad apprezzarlo e capirlo veramente senza aver conosciuto luoghi e persone da altre parti del mondo. Io non amo molto viaggiare come turista, perchè è un modo molto superficiale di conoscere il mondo. Vivere ed integrarsi in una realtà e con persone nuove è invece un modo diretto per crescere e migliorarci. A diciotto anni è difficile sapere quali esperienze faranno la differenza nel proprio futuro. Consiglio di non precludersi opportunità che possono presentarsi solo quando si è giovani e di evitare di fare progetti a lunghissimo termine. Ecco un esperimento che potete fare. Cosa sarà importante nella vostra vita fra cinque anni? Chiedete anche ai vostri coetanei e pensate a come avreste risposto alla stessa domanda cinque anni fa. Poi, tra cinque anni, ripensate a questo momento e riflettete su cos’e’ cambiato.
Personale scolastico